venerdì 12 giugno 2009

6. Il bosco

Camminavamo, ma Lucien era taciturno, teneva la testa bassa.
"Lucien, mi spiace che te la sia presa"
"No, fa niente" mi fece, con l'aria di uno che invece se l'era presa eccome.
"Lucien è stata un'emergenza, io non li volevo questi poteri! Non me lo sono goduto per niente quell'agnello, c'erano due cavallette che scopavano nel prato e io ho percepito ogni loro puzza e mugolio!"
Scoppiammo a ridere entrambi ma poi si fece serio, e mi disse: "Papà mi ha detto che è proprio questo il punto. Il non volerli."
"Lucien non lo so. Può darsi. Ti chiedo solo di non avercela con me..."
"Hai ragione, sono un fesso. Allora, me lo racconti quello che hai fatto in tutto questo tempo o continuerai a dirmi come fai con tutti -In giro-?"

E gli raccontai.
Gli raccontai di come viaggiai per due giorni verso est, quando raggiunsi Scario, la città-porto più vicina al villaggio. Gli raccontai di come entrai a far parte di una ciurma di pescatori di Toniji, del mozzo folle che temeva sempre un mostro che già una volta gli aveva distrutto la nave, del capitano quasi cieco che riconosceva le zone dall'odore dell'acqua, e del mio compagno di branda che non parlava mai troppo perché diceva che il sale gli mangiava la gola.
"Giliam?"
"No, Giliam era il fratello del mozzo... il fratello di Eric invece era Clees, che con Jones e Michael la sera suonavano per preparare gli spettacoli del loro gruppo -Due barili a testa-"
"Ah, giusto..."
Gli raccontai dell'anno seguente e di Amarya, la figlia del mercante di pelli, di come divenni prima loro stalliere, poi amante di Amarya, e di come venni cacciato via per un suo capriccio. Gli raccontai dei cacciatori con cui mi unii, il gruppo di Jaremiah "il ladro", la persona più onesta che abbia mai conosciuto, e dell'inverno gelido che passai tra i monti di Veomin.
Era la prima volta che raccontavo quello che mi era successo, e mi fece bene, sentivo come un peso sul petto che si sollevava. E mi piaceva vedere Lucien incuriosito e rapito dal mio racconto. Forse questo è un altro dei motivi per cui sono partito: c'è un mondo fantastico lì fuori che aspetta solo di essere scoperto.

Ma arrivammo ai due cipressi vicino la grotta.
Lucien mi guardò: "Proprio come ai vecchi tempi?"
"Al mio tre... tre!"
E ci lanciammo di corsa, per vedere chi era il più veloce tra i due cipressi e l'antro.

domenica 24 maggio 2009

5. Il druido





"Sta' fermo"
Mikhail sollevò della cenere dal braciere al centro della stanza e me la lanciò contro. I miei riflessi per un attimo mi ordinarono di schivare, ma riuscii a restare fermo. La cenere calda mi prese in pieno sul viso: non era una sensazione spiacevole, ma quella mistura puzzava come l'inferno. Mikhail mi si avvicinò, mi impastò un po' la cenere sul volto e pronunciò poche parole in una lingua a me sconosciuta. Alla fine, me la tolse con un colpetto sulla faccia e disse secco: "Andiamo".
Appena uscii fuori fui preso da una sensazione di panico. C'erano centinaia di odori nell'aria. L'aroma di agnello alle verdure era penetrante, ma c'era dell'altro. Mi girai verso Mikhail disorientato, ma lui sorrise, mite.
"Avrai bisogno di tutto l'aiuto possibile, questo è solo un piccolo assaggio". Lentamente, mi sembrò di riuscire a discernere il timo, la salvia, l'erba rossa, il comino e il sangue dell'agnello. Non so dire perché ma capii che l'agnello era maschio e che era in salute, prima di essere sgozzato. Ma questi erano solo i predominanti. Mi sembrava di riuscire ad annusare i papaveri che crescevano in mezzo al grano, i rampicanti azzurri sulla parete di casa mia, lontana. Lo stesso grano aveva acquistato un odore leggero, riconoscibile.
Troppo presto però arrivò Rosaria.
"Allora è vero! Avevo sentito voci in paese, stamattina: sei tornato!"
Di nuovo braccia attorno al mio collo. Questa volta però sensazioni uditive e olfattive mi rendevano incredibilmente difficile parlare. In mezzo agli stessi odori di prima sentii un aroma, che incredibilmente riconobbi come quello del sapone blu che impastava Mikhail. Ma era da anni che non lo sentivo.
"Odori di sapone, Rosaria"
Mikhail ci separò dall'abbraccio e mormorò delle parole nell'orecchio della moglie.
Quella mi guardò e mi sorrise, con quel sorriso comprensivo che solo agli anziani riesce così bene.
"Non l'hai ancora capito, vero?"
Lo guardai stranito. Il vecchio Mikhail era un druido della foresta. Mai una volpe era entrata nel suo ovile, mai un cane aveva ringhiato verso di lui.
"Ti ho trasmesso alcuni semplici poteri. Cerca di prendere lentamente consapevolezza di questi tuoi nuovi sensi. Ma tienili a bada. Alcuni impazziscono perché non riescono più a vivere come prima. Ma tu sei cresciuto, hai visto il mondo e hai deciso di tornare. Le tue braccia... Questi sono i segni delle asce dei boscaioli di Trevor."
Era vero, ma non pensavo che qualcun'altro avrebbe mai potuto notare quelle piccole cicatrici negli avambracci che lasciavano i manubri di quelle asce.
"È chiamata "La foresta di pietra" perché ci sono gli alberi più resistenti del mondo. Si dice che chi riesca a segare un albero di Trevor possa spezzare qualunque altro albero anche a mani nude. E ora che ti vedo, inizio a credere che non sia solo una leggenda. Puoi farlo davvero?"
Lo guardai disorientato, ma risposi come rispondono tutti i boscaioli di Trevor: "Non lo so. Non sono mai stato attaccato da un albero"
Rise, il vecchio Mikhail, ma io continuavo a sentirmi uno schifo.
"Se ti hanno accetato a Trevor, vuol dire che sei abbastanza forte per reggere anche quest'ultima prova. Lucien invece, li userebbe soltanto per trovare una ragazza ben disposta. Magari un giorno, ne farò dono anche a lui. Dopo pranzo, voglio che tu e lui andiate alla cascata. Sono sicuro che sai ancora riconoscere le tracce nel bosco come ti aveva insegnato a fare tuo padre, ma ora guarda con questi tuoi nuovi sensi: fiuta il vento, tocca l'aria, ascolta l'acqua. Avranno molti più segreti da raccontarti. Se sei indeciso torna da me, ma stai sempre all'erta. E ora, se la smetti di ansimare, sono proprio curioso di sapere se hai il coraggio di dire che hai mangiato un agnello migliore in qualunque angolo del mondo ti sia andato mai a cacciare."

giovedì 21 maggio 2009

4. Il cuore

"Lucien dì a tua madre di mettere qualcosa sul fuoco, i giovani devono mangiare, soprattutto se sono stati via troppo a lungo."
"Sì, padre."
"Vecchio Mikhail, io..."
"Risparmia il tuo stupore per quando ce ne sarà bisogno, anche se non avessi la preveggenza leggerei il tuo odore nel vento dell'ovest. E la pioggia me lo aveva mormorato tre notti fa: la guerra è finita, ma la pace non è ancora arrivata."

...

Era così da sempre col vecchio Mikhail, ricordo quando con Lucien progettammo di andarci a tuffare dalla cascata in cui vedevamo salire i salmoni durante la primavera e trovammo ad aspettarci Mikhail seduto sulle rocce con un nodoso randello nella mano sinistra.
Quel giorno imparammo la differenza tra il salice e la quercia.

Il vecchio mi portò fuori, nel cortile posto sul retro della sua solida casa di mattoni, dove due polli si contendevano lo stesso chicco di grano, nonostante il prato ne fosse coperto.
Entrammo nella capanna di tronchi, col tetto coperto di zolle di erba fresca, e la porta con incise le rune dell'aria, del fuoco, della terra e dell'acqua e (aggiunta degli ultimi anni) un teschio di orso appeso sopra di essa.
"Non ho più la forza di un tempo, il mio amico orso mi aiuta in caso di bisogno."

Le ombre della capanna erano allungate dal braciere in cui bruciavano le polveri arancio e viola di Mikhail, e l'odore di muschio penetrava nei polmoni con forza, ricordando che la terra ci reclama continuamente.
"Vecchio Mikhail avevi ragione anche quella volta, sono tornato."
"Lo vedo, ma non dilungarti sui dettagli della tua assenza, Lucien sarà molto più avido di conoscerli di quanto io sia.
Ti ho portato qui per essere io a parlare. Lucien ha un cuore simile al tuo, se dovrà lasciare queste terre sarà lui a deciderlo, e credo che lo farà presto, e insieme a te. Quanto a mia moglie vorrei poterle far vivere la vecchiaia nell'illusione della serenità. Giungi a noi in ore oscure, tu cerchi la pace figliolo, e la cerchi dove è giusto, ai confini del mondo, in queste terre che nessuno ha mai bramato. Ma io sento delle voci, voci di spiriti. Essi vivevano nei miei sogni, ma ora li vedo durante il giorno. Mi parlano mi parlano, ma per la prima volta non comprendo.
Il giorno prima che tu arrivassi è scomparsa la pietra nera custodita nella grotta dietro il Salto dei Salmoni. Non l'ho rivelato a nessuno perchè sapevo che saresti giunto.
Non conosco esattamente i poteri di quella pietra, ma da quando è scomparsa una malefica presenza si avvicina al nostro villaggio.
Riposa e cerca la pace figliolo, la tua pace, prima di quella del mondo, ma cercala in fretta, nessuno ha più tempo ormai, neanche la nostra quieta terra.
E ora andiamo o passerai un'altra giornata senza vero cibo."

giovedì 14 maggio 2009

3. Casa

La brezza di levante mi accarezzava il viso tra la barba rada, mentre cercavo di riempirmi i polmoni di aria fresca per scacciare i brutti sogni. Mi tirai su col busto e guardai il campo di grano che si estendeva fino alle proprietà di Mikhail. Gli avevo detto che poteva coltivare anche il mio campo mentre ero via, se si fosse preso cura della mia casa. Aveva fatto entrambe le cose, i piedi affondavano nella terra grassa ben arata.
Mentre toccavo le spighe provai un brivido, che partì dalla mia mano e si protrasse fino alla schiena.
Spesso mi sono chiesto cosa volesse dire "casa". In ogni luogo dove ho vissuto, su ogni letto in cui ho dormito, mi chiedevo se avrei potuto chiamare casa le quattro mura che mi circondavano. Ma ogni volta che un odore mi ricordava la via in cui baciai Sora, ogni volta che un bambino cadeva e mi ricordava le strade su cui mi sbucciai infinite volte le ginocchia, allora sapevo che avrei mentito. La mia casa era altrove.
Eppure ero scappato. Ero andato via da tutto e da tutti e non volevo tornare. Questo mi sembrava un motivo altrettanto sufficiente per non chiamare casa il mio paese.
Ma ai brividi non si mente.

"EHI TU!"
Mi girai. Un uomo all'incirca della mia età mi veniva in contro, brandendo una falce.
"Cosa fai qui, cerchi il fattore?"
Una barba folta gli copriva il volto mentre i capelli iniziavano a diradarsi sulle tempie, ma gli occhi di un uomo non cambiano con gli anni.
Gli sorrisi e allargai le braccia.
Lui, invece, abbassò le spalle e balbettò: "... ma..."
"Ciao, Lucien"
Un sorriso che si poteva leggere solo dall'increspatura della barba nera: "Non ci posso credere! Sei tornato!!!"
La falce volò via sul campo di grano, e io riabbracciavo il mio vecchio compagno di giochi.
"Ma dove sei stato??? Non ci ho mai davvero creduto che saresti morto senza tornare! Vieni, mio padre vorrà vederti!"
La penombra della loro casa è un regalo che non mi aspettavo di ricevere. Non è cambiato assolutamente niente dall'ultima volta in cui ci entrai. Lucien lo capì ma non disse niente, per non aggiungere altro a quella strana sensazione di dejavù che provavo.
"L'anno scorso mio padre si è rotto una gamba cadendo dal mulo, il dottore ha cercato di sistemargliela ma non gli funziona più come una volta. Io gli dico di stare a letto, ma figurati se non prende la zappa appena mi volto e non scappa nei suoi campi. Papà! Guarda chi c'è!"
E lo vidi, il vecchio Mikhail che una volta mi regalò un cesto di ciliege quando sentì che andavo con una ragazza al fiume. La pelle del volto sempre nera scurita dal sole ora era rosa, i muscoli del collo ritirati, la pelle molle sulle braccia. Ho combattuto abbastanza da non temere nessuna rissa né arma, ma la vecchiaia, quella la temo ancora.

martedì 31 marzo 2009

2. La libertà

Il cielo era scuro, scuro come il mare, era come se il cielo fosse il mare, e la stessa terra sembrava essere formata della stessa sostanza, un buio infinito.
L'oscurità mi aveva avvolto, l'oscurità aveva avvolto il mondo. Guardai ancora una volta quel cielo indistinguibile, e mi sentii solo. Avevo lasciato i campi e il villaggio, dimenticato le canzoni del raccolto, dimenticato il sapore del primo vino e l'odore della propria casa.

Avevo scelto la libertà, e ora cercavo di orientarmi dentro di essa come fa il cucciolo dell'asterione sulle cime dei monti, quando cerca il suo genitore e non lo trova.
Così io non vedevo Ulterion, la stella del Conforto, la stella che buca le nubi e le nebbie,
bianca e solidale anche nei cieli di neve.
E cercandola iniziai a sentirle. A sentire le presenze di spiriti tormentati che mi mettevano in guardia, dall'oscurità, dalla solitudine. Ma io non le ascoltavo, e iniziavo a urlare parole arcane e ancestrali in qualche lingua morta di antiche razze elfiche.
Ma nelle mie urla non sentii il colpo di ascia che mi mozzò il capo.

...

Mi svegliai, e corsi fuori dalla mia casa, nel mio villaggio, tra i miei campi...
Ero sempre stato libero, solo, nella mia vita passata un'altra libertà mi era venuta a cercare. 
E mi aveva preso.

venerdì 27 marzo 2009

1. La festa

Non avevo mai sentito i bicchieri tintinnare tante volte come la sera in cui tornai.
Ero stato in posti che la maggior parte delle persone presenti in quella bettola non avevano neanche sentito nominare, ma ogni panca su cui mi sono seduto era troppo scomoda al pensiero delle panche di Armagh, ogni pane troppo secco, ogni cinghiale troppo cotto.
Quando entrai c'era Armagh il gigante al centro della locanda che faceva uno dei suoi numeri. Questa volta teneva uno dei suoi garzoni per la testa e lo muoveva come fosse un burattino. Quel poverino rideva come un matto ma si sarebbe ritrovato sul collo i segni delle manone di Armagh per settimane.
Una volta l'ha fatto anche con me.
"ARMAGH!" gli urlai.
Lui si girò, e il suo sorriso si trasformò per un attimo in un'espressione stupita. Solo per un attimo. Gettò via il garzone come una pezza, e in meno di un secondo avevo il collo schiacciato in quelle sue braccione pelose. Le urla di Armagh poi, sono un qualcosa in grado di far perdere le foglie ad un albero in estate. Senza considerare il fiato.
"Armagh mi stritoli!"
"Brutto figlio di tua madre, cosa diavolo ci fai qui?"
"Sono tornato Armagh. Tornato."
"Maledizione, ne devi avere di roba da raccontare, porto due boccali, che a parlare senza bere si secca la lingua."
Ma il paese è piccolo, e in meno di un'ora la locanda si era riempita di tutti i miei più vecchi amici che facevano a gara per abbracciarmi. Per tutta la sera non riuscii a rispondere a nessuno, perché appena cominciavo una storia subito arrivava un altro e dovevo ricominciare tutto daccapo.
Nella calca riuscii a parlare un po' con Zoran, che aveva ereditato la forgia dal suo vecchio padre, con Millton che aveva trovato qualcuno abbastanza pazzo da comprare i suoi quadri, con la dolce Riissa, che non salutai neppure prima di partire, e con Naronil, che era così incredulo del mio ritorno che quando mi vide saltò sul tavolo così sgraziatamente che scivolò subito giù, spaccando due sedie.
I bambini giocavano tra le gambe del tavolo, contenti perché i genitori si erano completamente dimenticati di loro. Uno mi guardò e mi disse: "Signore, sei andato più lontano dello stagno a valle?" e io sorridendo gli dissi: "Un pochino". Lui scappò via urlando che fossi pazzo, perché oltre lo stagno ci sono solo i mangiabambini. Se non fosse corso via, gli avrei raccontanto del deserto rosa a nord di Parranir, dove ci sono dei vermi-talpa colossali, in grado di divorare un bambino in un solo morso.
O forse no.
"Dicci la verità, sei ritornato per la mia birra scura, eh?"
"Armagh, persino il sudore del mio cavallo rinfresca più di questa brodaglia, ma, se devo essere sincero: si, mi è mancata."

martedì 10 marzo 2009

Ouverture

Quando mi chiesero perchè fossi tornato non risposi, ma fui contento di vedere che il mulino accanto al fiume funzionava ancora. Quando mi chiesero se fossi stanco non risposi, ma cercai con lo sguardo la vecchia quercia, quella che i vecchi venerano come l'albero più antico del mondo, e la trovai.
Quando mi chiesero se avessi fame non risposi, ma vidi che dalla locanda del vecchio Armagh la gente usciva ancora con il viso felice.
Quando mi chiesero dove fossi stato e cosa avessi visto, pensai che un giorno avrei dovuto dare delle risposte, se non a loro, a me stesso almeno.