giovedì 14 maggio 2009

3. Casa

La brezza di levante mi accarezzava il viso tra la barba rada, mentre cercavo di riempirmi i polmoni di aria fresca per scacciare i brutti sogni. Mi tirai su col busto e guardai il campo di grano che si estendeva fino alle proprietà di Mikhail. Gli avevo detto che poteva coltivare anche il mio campo mentre ero via, se si fosse preso cura della mia casa. Aveva fatto entrambe le cose, i piedi affondavano nella terra grassa ben arata.
Mentre toccavo le spighe provai un brivido, che partì dalla mia mano e si protrasse fino alla schiena.
Spesso mi sono chiesto cosa volesse dire "casa". In ogni luogo dove ho vissuto, su ogni letto in cui ho dormito, mi chiedevo se avrei potuto chiamare casa le quattro mura che mi circondavano. Ma ogni volta che un odore mi ricordava la via in cui baciai Sora, ogni volta che un bambino cadeva e mi ricordava le strade su cui mi sbucciai infinite volte le ginocchia, allora sapevo che avrei mentito. La mia casa era altrove.
Eppure ero scappato. Ero andato via da tutto e da tutti e non volevo tornare. Questo mi sembrava un motivo altrettanto sufficiente per non chiamare casa il mio paese.
Ma ai brividi non si mente.

"EHI TU!"
Mi girai. Un uomo all'incirca della mia età mi veniva in contro, brandendo una falce.
"Cosa fai qui, cerchi il fattore?"
Una barba folta gli copriva il volto mentre i capelli iniziavano a diradarsi sulle tempie, ma gli occhi di un uomo non cambiano con gli anni.
Gli sorrisi e allargai le braccia.
Lui, invece, abbassò le spalle e balbettò: "... ma..."
"Ciao, Lucien"
Un sorriso che si poteva leggere solo dall'increspatura della barba nera: "Non ci posso credere! Sei tornato!!!"
La falce volò via sul campo di grano, e io riabbracciavo il mio vecchio compagno di giochi.
"Ma dove sei stato??? Non ci ho mai davvero creduto che saresti morto senza tornare! Vieni, mio padre vorrà vederti!"
La penombra della loro casa è un regalo che non mi aspettavo di ricevere. Non è cambiato assolutamente niente dall'ultima volta in cui ci entrai. Lucien lo capì ma non disse niente, per non aggiungere altro a quella strana sensazione di dejavù che provavo.
"L'anno scorso mio padre si è rotto una gamba cadendo dal mulo, il dottore ha cercato di sistemargliela ma non gli funziona più come una volta. Io gli dico di stare a letto, ma figurati se non prende la zappa appena mi volto e non scappa nei suoi campi. Papà! Guarda chi c'è!"
E lo vidi, il vecchio Mikhail che una volta mi regalò un cesto di ciliege quando sentì che andavo con una ragazza al fiume. La pelle del volto sempre nera scurita dal sole ora era rosa, i muscoli del collo ritirati, la pelle molle sulle braccia. Ho combattuto abbastanza da non temere nessuna rissa né arma, ma la vecchiaia, quella la temo ancora.

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